lunedì 6 settembre 2010

Fini rilancia la sfida a Berlusconi "Pdl non c'è più, nuovo patto fino al 2013"

Nell'atteso discorso alla Festa Tricolore il presidente della Camera parla per ottanta minuti. Attacchi al premier, ma non c'è l'annuncio del nuovo partito. "Da noi niente ribaltoni, ma il partito deve rinascere". Scontro coi colonnelli. "Sì al Lodo, ma niente leggi ad personam". "No a un federalismo contro interesse di tutti. Priorità a economia e occupazione". Sulla campagna del Giornale: "Attacchi infami contro la mia famiglia"   
MIRABELLO (FERRARA) - Niente nuovo partito. Ma una sfida aperta al Cavaliere. Al quale chiede un nuovo patto di legislatura, fino al 2013. Ma sul quale fa cadere una dopo l'altra parole pesanti come macigni. Sulla giustizia, con lo slogan garantismo non è impunità; sulla politica estera, con l'attacco alle "genuflessiono" a Gheddafi; sull'economia, con il sostegno alle proteste di scuola e polizia; sulla concezione stessa di politica, ricordando al premier che "governare non è comandare". 
Per Gianfranco Fini, Mirabello non è un posto come gli altri. Questo è "il luogo delle emozioni". Lo dice all'inizio del suo attesissimo discorso. Le emozioni di ieri e dell'altro ieri sono niente in confronto a quella di oggi. Ottanta minuti in cui il presidente della Camera ritrova se stesso (dopo 36 giorni di silenzio pubblico) e il suo esercito. Senza più colonnelli o capitani. Ma con il fermo proposito di portare avanti la battaglia di Futuro e Libertà. Non per tornare in un partito, il Pdl, che non esiste più avendo tradito il suo stesso nome, con l'espulsione illiberale del 29 luglio. Ma neanche, non ancora per lo meno, per dare vita a un nuovo soggetto politico, come speravano molti dei militanti. Malumori che, al momento di lasciare la piazza, qualcuno ha esternato nei commenti con il proprio vicino.
La sfida a Silvio Berlusconi ha i connotati di un nuovo patto di legislatura, per scongiurare quelle elezioni anticipate che sancirebbero un fallimento
di entrambi. Le condizioni però sono al rialzo: non è il più il tempo dell'acquiescenza o della subalternità alla Lega. Si va avanti ma senza ultimatum e senza perseguire obiettivi che non erano nel programma e non corrispondono ai bisogni reali del paese: la priorità va all'economia. E non alla questione della giustizia: il garantismo, ripeterà più volte Fini, non significa impunità permanente. Tutto questo senza lasciarsi condizionare da ultimatum o intimidazioni che sottolinea il presidente della Camera, quando come in queste settimane prendono di mira la famiglia (attraverso una vera e propria "lapidazione"), non sono altro che un costume tipico degli "infami".
Lo scambio emozionale tra la piazza e il suo leader è costante durante tutto il discorso. Il presidente della Camera fa diverse concessioni alla pancia e al cuore del suo uditorio. Prima di tutto, come ogni team che si rispetti, tutta la squadra di Futuro e libertà viene presentata dal deputato Luca Bellotti. Applausi per tutti e ovazione per Mirko Tremaglia, il legame più solido con la storia che fu. Non è tempo per buoni o cattivi, come canta Vasco Rossi, in uno dei brani della colonna sonora scelta dagli organizzatori. L'attesa però si scioglie soltanto quando arriva il presidente della Camera. Sale sul palco dopo che hanno portato i loro saluti emozionati il padrone di casa Vittorio Lodi, organizzatore di 29 edizioni della festa Tricolore, il giovane Giuseppe Tatarella, che cita il padre Pinuccio, in quello che è un altro omaggio alla memoria della destra di casa nostra. E Chiara Moroni, che è invece un'iniezione di novità culturale e politica da sottolineare.
Il resto si consuma, appunto, nel rapporto tra l'uditorio e il presidente della Camera. Che sa evocare sapientemente gli umori della piazza di casa. Sale sul palco alle 18.26 e ci vuole almeno un minuto prima che riesca a prendere la parola, sommerso dal boato e dal coro "Chi non salta Berlusconi è!". E cita subito un "grande uomo", quel Giorgio Almirante che nella stessa piazza aveva auspicato un salto generazionale aprendo la strada alla successione del suo Delfino. Primo applauso convinto, così come quando Fini prende di mira due tagli particolarmente sgraditi della manovra economica: quelli alle forze di polizia culminati nella manifestazione di Venezia e quelli alla scuola che hanno provocato le "giuste proteste dei precari", condannati alla lotteria delle cattedre. L'attacco al ministro Gelmini non è roba da poco. Come quello riservato alla Lega sulle quote latte, e sui veti posti ai provvedimenti sulla liberalizzazione delle municipalizzate e sull'abolizione delle province. 
Ma è in almeno altre due occasioni che il presidente della Camera parla davvero alla pancia del suo pubblico. Quando definisce poco decoroso lo spettacolo offerto dalla visita in Italia del Colonnello Gheddafi: uno, dice Fini, che non può insegnare niente né sulla libertà della donna, né sui diritti civili. E' la condanna della "genuflessione" che i finiani aspettavano dalla mattina. Prima ovazione. La seconda ancora più convinta si materializza quando è a essere evocati sono "quei colonnelli o capitani, che hanno soltanto cambiato generale e magari sono pronti a cambiarlo di nuovo". E' standing ovation mentre a parecchi ex An dovranno essere fischiate le orecchie. 
La parte restante riguarda il duello a distanza con il presidente del Consiglio. Le colpe di quest'ultimo sono note. La più grave è aver decretato un'espulsione illiberale, "da libro nero dello stalinismo", del cofondatore del Pdl e dei suoi seguaci, durante l'ormai famoso ufficio politico del 29 luglio. Un atto "lesivo della dignità del partito stesso", sottolinea Fini, degno di chi non ha ancora compreso che "in democrazia non ci sono eresie". E che "governare non significa comandare" come succede per le aziende di famiglia. Ecco perché il Pdl non esiste più. Esiste il partito del Predellino o Forza Italia allargata, sono le due definizioni coniate dal presidente della Camera. Va da sé che rientrare in ciò che non esiste più non è possibile. Fli va avanti, ancora senza un proprio partito. Senza cambi di campo e senza l'obiettivo della ricomposizione o peggio del "perdono" forzato. Un segnale di compattezza, a quanti "dilettandosi di ornitologia", scherza Fini ci dividono in falchi e colombe. 
I contenuti del nuovo patto di legislatura - che secondo Bersani somiglia più che a una proposta al vecchio gioco del cerino - sono già destinati a far discutere. Capitolo giustizia: la magistratura è un caposaldo della nostra democrazia, premette Fini, anche se ci sono alcune mele marce. Fatto salvo l'obiettivo di tutelare le alte cariche dello Stato, non sembrano percorribili ipotesi (come la norma provvisoria contenuta nel provvedimento sul processo breve) che cancellano tanti procedimenti colpendo cittadini che aspettano da anni di veder riconosciuti i propri diritti. Uno stop alla norma a cui sta lavorando la maggioranza con il consigliere giuridico del premier. Quel Niccolò Ghedini a cui il presidente della Camera riserva l'immagine del Dottor Stranamore che "dovrebbe risolvere una cosa e non lo fa mai". Altro punto contestato, eppure sempre nell'agenda di governo, il federalismo che è accettabile, precisa Fini, solo a patto di non penalizzare il Sud. Non manca un accenno anche alla legge elettorale, con un mea culpa per un sistema che riserva agli elettori non più la sovranità popolare ma un "prendere o lasciare". Un passaggio che farà arrabbiare Umberto Bossi. 
Infine, l'economia. Contrastare la crisi non basta, è il monito di Fini, bisogna far ripartire il paese. Tremonti è avvisato. "Fa piangere il cuore un ragazzo su 4 non lavori", rileva il presidente della Camera, "colpa anche di chi contrabbanda per flessibilità una precarietà eterna". Mentre sulla mancata nomina del ministro dello Sviluppo Economico ormai, scherza il presidente della Camera, aspettiamo l'oracolo di Delfi.
Il finale è ancora un richiamo al cuore della platea, a quello di quando avevamo 18/ 20, dice Fini ai suoi. E a valori tradizionali della destra come il senso della patria e l'etica del dovere. "Se è un uomo non ha fiducia nelle sue idee e non è pronto a impegnarsi per esse o non valgono nulla quelle idee o non vale quell'uomo". Scatta l'applauso che chiude il discorso. Titoli di coda con il presidente della Camera che beve finalmente un bicchiere d'acqua e si rilassa cantando l'inno, complimentato dai suoi. Spunta ancora il sempreterno Tremaglia, sorretto a fatica, ma ancora con il tricolore in mano.
Fonte Repubblica.it



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